Il diabete tipo 2 ancora oggi rappresenta una delle patologie più difficili da approcciare nella sua complessità a causa del suo decorso progressivo e della molteplicità dei fenomeni fisiopatologici che lo sottendono. Tutto ciò pone il clinico davanti a decisioni che devono essere prese molto precocemente (con riguardo alla storia clinica del paziente) e nel minor tempo possibile che spesso richiedono un processo di engagement del paziente che va a toccare anche la sfera emotiva di quest’ultimo.
Sempre di più, il clinico, oltre alle competenze legate alla gestione della patologia, necessita di un supporto che lo aiuti sia a perfezionare il momento decisionale che a migliorare l’approccio comunicativo-relazionale con il paziente per essere capace di coglierne i bisogni e, aiutandolo a gestire le emozioni, proporre il percorso di cura più adatto, efficace e sicuro, realizzando una vera personalizzazione della terapia.
Spesso ci si domanda quale sia il farmaco più appropriato da utilizzare dopo la metformina o come sostituire una molecola di vecchia generazione che, per quanto efficace nel controllo glicemico, non ha più un profilo di sicurezza adeguato. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un aumento esponenziale delle opzioni terapeutiche, con l’immissione in commercio di nuovi farmaci che presentano dati di sicurezza e protezione cardiovascolare molto interessanti, ma, come riportato negli ultimi Annali AMD*, sono ancora poco utilizzati
dalla classe medica.
Dagli Annali AMD emerge che, per il 30% dei casi in cui viene aggiunto un farmaco oltre alla terapia con metformina, questo avviene con un evidente ritardo, ovvero in situazioni con valori di emoglobina glicata superiori a 8% che perdurano da più di un anno. Inoltre, nel 25% di questi casi, nei successivi 1-2 anni dopo l’intensificazione della terapia, i pazienti continuano ad avere l’emoglobina glicata superiore a 8%.
L’inerzia clinica nel diabete di tipo 2 rappresenta un fenomeno complesso e multifattoriale: vi contribuiscono i medici, l’intero sistema sanitario e infine anche i pazienti.
Questi ultimi possono essere poco propensi a cambiare la cura o a intensificarla perché spaventati dai possibili effetti collaterali dei farmaci, come ipoglicemie e/o aumento di peso. I clinici riscontrano difficoltà nell’applicare nella pratica clinica le più recenti linee guida. I team diabetologici spesso risentono della carenza di personale, tempi e spazi adeguati alla gestione delle visite. E ancora, vi sono barriere di sistema che comprendono modelli di governance, di assistenza e le restrizioni sul budget dedicato al diabete a livello nazionale e regionale. Questi sono solo alcuni esempi di cause dell’inerzia. A complicare il quadro la recente emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da Covid-19, che ha accentuato i ritardi nell’intensificazione terapeutica, determinando unpeggioramento del controllo del diabete e dei fattori di rischio cardiovascolare, soprattutto negli anziani che hanno più difficoltà nell’accedere ai sistemi di teleassistenza Una miglior comprensione delle dinamiche che influenzano il complesso fenomeno dell’inerzia, utilizzando anche analisi di machine learning, potrebbe rappresentare un aiuto concreto nell’identificazione di azioni mirate e sinergiche atte a favorire una maggiore appropriatezza nel percorso terapeutico del paziente con diabete-2.
Inoltre, a causa della situazione che le strutture sanitarie stanno affrontando per contrastare la pandemia Covid-19*, l’accesso alle cure ordinarie è estremamente limitato e si fa concreto il rischio che i pazienti cronici, più vulnerabili, possano vedersi negato l’accesso agli interventi terapeutici.
A questo si aggiunge la necessità per il medico di ricollocare la propria persona e la propria professione all’interno di un sistema completamente rinnovato.